Corte di appello di Bologna sentenza n.133/24

 

La vicenda processuale ed i fatti storici ad essa sottesi sono adeguatamente sintetizzati nella sentenza di primo grado, ove si ha modo di leggere al riguardo che: < [...] 1. La sig.ra rileva di essere stata dipendente della Soc dal 2 maggio 2018, con mansioni di arredatrice livello quarto del CCNL di settore e di essere stata licenziata per superamento del periodo di comporto con lettera del 6 agosto 2020 Secondo la ricostruzione della ricorrente il recesso sarebbe nullo e illegittimo, considerando che la parte datoriale avrebbe errato nel computo del periodo, non depurandolo dai giorni di sospensione per cassa integrazione e per aspettativa non retribuita; i giorni di malattia, in ogni modo, non potrebbero essere conteggiati, in quanto dipendenti da comportamenti illegittimi del datore di lavoro, che avrebbero determinato l'insorgere delle patologie sofferte dalla ricorrente. Di conseguenza ha domandato al giudice la reintegrazione sul posto di lavoro, con il conseguente risarcimento del danno, oltre interessi e rivalutazione e, in subordine, le ulteriori tutele previste dal D.Lgs. 23/2015

Sul punto, viene in rilievo il dettato dell'art. 3, co. 7, del D. Igs n. 148/2015, secondo cui "il trattamento di integrazione salariale sostituisce in caso di malattia l'indennità giornaliera di malattia, nonché la eventuale integrazione contrattualmente prevista", Va poi preso in considerazione quanto chiarito, in correlazione a tale disposizione legislativa, dall'INPS con la circolare n. 197/2.12.2015 e dallo stesso Istituto ribadito con riferimento al periodo pandemico col messaggio n.1822/30.4.2020 (secondo cui "se la totalità del personale in forza all'ufficio, reparto, squadra o simili cui il lavoratore appartiene ha sospeso l'attività, anche il lavoratore in malattia beneficerà delle prestazioni garantite dal FIS dalla data di inizio delle stesse" "Non essendo intervenute modifiche alla disciplina sopra illustrata, la stessa continua ad applicarsi anche con riguardo alle domande di prestazioni di integrazione salariale (CIG, FIS, CIGD) intervenute nel corso dell'emergenza epidemiologica per COVID-19').

 

Ciò posto, la Corte territoriale non condivide l'interpretazione, adottata da parte della giurisprudenza di merito, della norma dell'art. 3, co. 7, richiamata, secondo cui il legislatore avrebbe inteso esclusivamente prevedere una diversa"imputazione" della prestazione economica, che resta, comunque, di competenza dell'I.N.P.S., sia nel caso di malattia, sia nel caso di C.I.G., e che nulla avrebbe a che vedere con il comporto, non incidendo in alcun modo sul titolo dell'assenza e sulla sua rilevanza all'interno del rapporto tra lavoratore e datore di lavoro, tanto meno in difetto di richiesta del lavoratore di mutamento del titolo dell'assenza (in tal senso v. Trib. Foggia ord. 19.7.2021),

 

Quest'ultima interpretazione giurisprudenziale, in assenza di precedenti di legittimità sul punto, non appare corretta, avendo riguardo allo scopo delle regole dettate dall'art. 2110 c.c. per l'ipotesi di assenza determinata da malattia del lavoratore che è quello di contemperare gli interessi confliggenti del datore di lavoro a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e del lavoratore a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento, riversando sull'imprenditore, in parte e per un determinato tempo, il rischio della malattia del dipendente. L'interesse del lavoratore, anche disabile, a conservare il posto di lavoro deve quindi essere ponderato in relazione sinallagmatica con quello del datore di lavoro di non doversi fare carico a tempo indefinito del contraccolpo che le assenze cagionano all'organizzazione aziendale. È infatti indispensabile soppesare gli interessi giuridicamente rilevanti delle parti del rapporto di lavoro: da un lato l'interesse del disabile al mantenimento di un lavoro confacente con il suo stato físico e psichico, in una situazione di oggettiva ed incolpevole difficoltà. D'altro lato l'interesse del datore a garantirsi comunque una prestazione lavorativa utile per l'impresa, tenuto conto che l'art. 23 Cost. vieta prestazioni assistenziali, anche a carico del datore di lavoro, se non previste per legge (Cass. SS.UU. n. 7755/1998) e che la stessa direttiva 2000/78/CE, al Suo considerando 17, non prescrive il mantenimento dell'occupazione di un individuo non competente, non capace o nonmdisponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione.

 

Ebbene, in caso di ammissione dei lavoratori di un'azienda, nella ricorrenza degli specifici presupposti previsti dalla legge, al trattamento di integrazione salariale ,non gravando alcun rilevante onere economico a carico del datore di lavoro, appare corretto sospendere per i lavoratori in malattia in quel periodo il computo del periodo di comporto, a prescindere da una manifestazione di volontà in tal senso da parte degli interessati. In altri termini, si ritiene che in base all'art. 3, co. 7, del D. Igs n. 148/2015, il periodo di comporto sia automaticamente sospeso nel caso di C.I.G. o di C.I.G.S..

 

Nello specifico, il licenziamento qui impugnato deve considerarsi nullo per violazione della norma imperativa di cui all'art. 2110, 2° co. c.c., così come chiarito da Cass Civ. S.U. sent. 22 maggio 2018 n. 12568. La Corte di Cassazione, nella sua composizione più autorevole, ha chiarito, infatti, come "il licenziamento per superamento del periodo di comporto costituisce una fattispecie autonoma di licenziamento, vale a dire una situazione di per sé idonea a consentirlo, diversa da quelle riconducibili ai concetti di giusta causa o giustificato motivo". D'altronde, "il mero protrarsi di assenze oltre un determinato limite stabilito dalla contrattazione collettiva - o, in difetto, dagli usi o secondo equità - di per sè non costituisce inadempimento alcuno(trattandosi di assenze pur sempre giustificate)"

 

La Suprema Corte ha quindi affermato il carattere imperativo dell'art. 2110, co.2, c.c., in quanto norma a tutela del diritto alla salute, che non potrebbe "essere adeguatamente protetta se non all'interno di tempi sicuri entro i quali il lavoratore, ammalatosi o infortunatosi, possa avvalersi delle opportune terapie senza il timore di perdere, nelle more, il proprio posto di lavoro". Su queste premesse, nella ricostruzione delle Sezioni Unite, il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia del lavoratore, ma prima del superamento del periodo di comporto, non è soltanto inefficace fino a tale momento, bensì deve ritenersi nullo per violazione dell'art. 2110, co. 2, c.c. Di recente, nello stesso senso si sono espresse Cass., 28 luglio 2022, n.23674 e, ancora, Cass., 19 luglio 2022, n. 19661.

Si rende quindi applicabile il disposto dell'art. 2 del D. Lgs. 23/15, secondo cui la tutale reintegratoria, unitamente a quella indennitaria, è prevista per il licenziamento discriminatorio e per i casi di recesso "riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge" >>, così come chiarito dalla Corte di Appello di Torino con sentenza n. 315/2022 del 05 agosto 2022.

La Corte d'Appello -territoriale quindi1) in accoglimento dell'appello proposto dal , riformando integralmente la sentenza gravata, accerta e dichiara la nullità del licenziamento intimato da . all'appellante con raccomandata del 6.8.2020;2) per l'effetto, condanna la società appellata ai sensi dell'art. 2 del D.lgs.23/2015 a reintegrare l'appellante nel suo posto di lavoro ed a corrisponderle a titolo di risarcimento del danno subito per l'illegittimo licenziamento, un'indennità commisurata all'ultima retribuzione mensile di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, pari a € 1.895,07 dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegrazione dedotto quanto, eventualmente, percepito nel periodo di estromissione per lo svolgimento di altre attività lavorative, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali ai sensi dell'art. 429 c.p.c.;3 )condanna, altresì, la società appellata, in persona del legale rappresentante prot empore, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione; 4) condanna, infine, la società appellata, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio